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Figura 1 – deposito del crollo del 18/09/2004 dalla Punta Thurwieser (Valtellina, Italia). Il volume totale della massa rocciosa crollata è di 2.5 milioni di m3, la distanza di propagazione orizzontale di 2500 m e il dislivello percorso di 1400 m. |
Negli anni recenti, molti massicci montuosi in tutto il mondo sono stati interessati da gfrandi crolli in roccia, coinvolgenti spesso anche ghiaccio (Mc Ginnis Peak, Alaska, 2002; Kolka-Karmadon, Caucase, 2002). Sulle Alpi, gli esempi più recenti di crolli sono quelli avvenuti sul Ghiacciaio della Brenva (1997), la Punta Thurwieser (2004 – Allegato 1 – figura 1), la parete ovest dei Drus (2005) e la parete ovest del Monte Rosa (2007), mentre non si contano le piccole cadute di blocchi avvenute durante la caldissima estate del 2003(per esempio sul massiccio del Bianco o sul Cervino). La relazione tra la degradazione del permafrost e l’instabilità delle pareti rocciose d’alta quota sembra supportata dai seguenti elementi: (i) frequente presenza di ghiaccio nelle nicchie di distacco; (ii) l’aumento di temperatura di oltre 1°C registrato nelle Alpi durante il XX secolo e (iii) l’accelerazione del riscaldamento climatico a partire dagli anni ’80.
Tuttavia la frequenza e l’intensità degli eventi gravitativi in alta montagna rimangono poco conosciuti, a causa della mancanza di osservazioni sistematiche di crolli (= caduta di blocchi di taglia da pluridecimetrica a metrica, in genere singoli o con volume complessivo < 100 m3) o di valanghe di roccia (caduta da una parete rocciosa acclive di una massa di roccia coerente con volume > 100 m3 e che si frantuma in blocchi eterometrici durante la caduta). In effetti questa attività gravitativa interessa un ambiente d’alta quota soggetto a condizioni meteorologiche proibitive e presenta numerosi settori di difficile accesso, limitando di fatto la presenza antropica. Inoltre, se gli eventi di maggiore entità lasciano tracce indelebili sul paesaggio, gli indizi degli eventi di minori dimensioni (per esempio i depositi) scompaiono rapidamente sotto la copertura nevosa o coperti dal ghiaccio. Anche le riprese fotogrammetriche verticali efefttuate ad esempio dall’IGM o IGN, più o meno regolarmente sono poco adatte allo studio delle nuove nicchie di distacco, in quanto esse si collocano di solito in pareti verticali, con morfologia accidentata e spesso innevate o in ombra.
Per validare l’ipotesi di una relazione tra l’attuale degradazione del permafrost e la sempre maggiore instabilità delle pareti rocciose, è necessario disporre di misure precise della frequenza e dell’instabilità di crolli e valanghe di roccia che interessano le pareti rocciose, prendendo inoltre in considerazione anche i parametri che li controllano (quota, pendenza, litologia, stato di fratturazione, esposizione, altezza di caduta..). Questa azione di monitoraggio dell’attività gravitativa delle pareti rocciose è cominciata nell’estate 2005 ed ha utilizzato tre metodi complementari: il rilievo laser-scanner da terra, la fotogrammetria terrestre e il rilievo acustico.
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